Le Dolomiti di Oltre Piave sono poco conosciute. Se ne sente parlare a
proposito del Campanile di Val Montanaia, e raramente da appassionati che non siano dei
paraggi.
Il Campanile, ma sarebbe più preciso dire la sua rinomata via Comune, più che altro
è diventato un monumento; in ogni modo, pur non potendosene disconoscere la peculiare
bellezza, resta, a mio modesto parere, una montagna che ha fatto il suo tempo.
A dirla tutta, questa montagna non mi affascina proprio; troppi l'hanno palpeggiata al
punto da lasciarvi i segni d'una indelebile usura.
Ricordo un vecchissimo filmino, girato dal padre di mia moglie (alpinista di 74 anni
tuttora vigorosamente attivo, quindi non è un ...suocero), quando scalò il Camapanile
molti anni fa.
Gli scarponi erano massicci, le corde grosse e grezze; gli occhi saettavano tensione
nervosa. La discesa preoccupava quanto la salita: un po' si arrampicava; poi le doppie si,
ma alla Piaz, e cioè corda in attrito tra cosce e spalla, al più usavano un moschettone.
Chi è sceso dal Campanile sa che così sono doppie da brivido.
Quella montagna, allora, sapeva mostrare ...il suo profilo diritto, e il sogno
disorientava chi le si avvicinasse.
Nel quartiere di scabrosa periferia dove sono nato e cresciuto, accanto al bar
malfamato, gestito da una mammana che permetteva alle famiglie più povere di evitare
spese impreviste di mantenimento, bar dove non c'era però cattiveria ed anche i bambini
potevano fermarsi a comperare le gomme prima di andare a messa, lì vicino abitava una
ragazza: era bella come il sole e sfrontata.
Si dice che, all'inizio, le sue grazie fossero per pochi. Il suo bacio era un trofeo e
giacere con lei, comportava la celebrazione unanime della sorte amica e delle doti del
fortunato. Lei, con le mani ai fianchi, a volte pareva confermare, sciabolando sorrisi da
liquefare la pietra.
Poi non fu più così i pochi divennero molti e ogni cosa, nel quartiere, divenne un
po' più triste.
Molti le si avvicinarono, si dice, ma non ci fu più trionfo né cristalli di sorriso e
nemmeno allegria.
La Giuliana (il vero nome era ignoto perché, pare, fosse figlia di nessuno), non era
alla mia portata di ragazzetto e coinvolse non poco la mia immaginazione di adolescente.
La guardavo aggirarsi tra un giovanotto e l'altro dispensando con sapienza, crudele
ritrosia.
Si trattava di ragazzotti ...dalla voce dura, i migliori; quelli, per capirci, che
davano fuoco ai gatti o ne trafiggevano gli occhi con le stecche d'ombrello. Più di
tutto, secondo me, emanavano forti sentori di testosterone, entro il quale erano
certamente caduti dentro da piccoli.
Una volta, m'imbambolai a guardare le belle cosce bianche della Giuliana, che se ne
stava seduta in posa audace, perso tra la visione di queste e l'insondabile mistero della
prosecuzione di quelle splendide gambe.
Lei se ne accorse, si alzò e mi fece una carezza sul viso, per poi volgersi rapidamente
altrove, gonfiando, nel ruotare, la povera gonnella e infliggendomi l'ennesima
palpitazione.
La Giuliana.
L'ho rivista la Giuliana, che non è molto. Qualche anno più di me non l'ha resa vecchia.
Ma è peggio: sembrava una valigia troppo lisa.
Ho provato una grande tenerezza e solo la mediocrità mi ha impedito di restituirle
quell'antica carezza.
Quando quella montagna di cui parlavo, il Campanile di Val Montanaia, lasciava profumi
d'impresa a chi la scalava, io non ero ancora nato o ero un bimbetto. Non ho neppure
potuto sperare in una soddisfazione innocente, perché la montagna era già come la
Giuliana dell'ultima volta.
Mi piacerebbe andarci d'inverno, in Val Montanaia, quando la prima neve è poca ed i
fiocchi secchi e freddi si possono soffiare; quando il Luna Park degli alpinisti di
stagione smonta e sarei sicuro di non sentire la campanella che sta sulla vetta, come un
cotillon portato fuori orario, che sbatacchia ogni cinque minuti per celebrare il
milionesimo salitore.
Mi metterei lì appresso per offrire alla montagna la mia carezza; sarebbe come farla
alla Giuliana; forse tutte e due, si sentirebbero meno logore.
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by Panta
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