LU SASSU DI LU GRAN SASSU

(Una trascrizione di un’antica leggenda del Gran Sasso)

Racconta la leggenda che, centinaia d’anni fa, esisteva una vasta pianura ubertosa che collegava tutto il territorio tra i due mari dell’Italia Centrale, da ovest a est, senza alcun impedimento geografico.

In questi luoghi, Dea Natura era stata benigna e generosa: piogge regolari e periodi soleggiati si alternavano regolarmente e consentivano alle popolazioni indigene di dedicarsi con successo all’agricoltura, all’allevamento del bestiame e alla raccolta dei frutti dei prati e dei boschi.
L’acqua abbondante e fresca dei fiumi e delle sorgenti permetteva di irrigare facilmente i campi e provvedeva ampiamente al fabbisogno delle persone e degli animali.
I villaggi erano poco numerosi ed erano sparsi sull’intera pianura. Il cavallo era un amico ed un compagno di vita: consentiva l’incontro fra le persone e le aiutava a trasportare i prodotti e le merci. Le popolazioni di queste terre vivevano in pace tra loro.
Ai lati della vasta pianura, esistevano due regni e sul trono erano insediati due re pacifici: Re Tirreno sul Regno dell’Ovest e re Adriatico su quello dell’Est. Essi governavano su estese regioni lontane e non c’erano mai state serie ragioni per lo scoppio di conflitti.
Sulla pianura, tra i due regni, invece non c’erano re nè signori e nè moneta.
Il governo della comunità e dei suoi beni era comune: i saggi più anziani e i giovani più forti si riunivano periodicamente in consiglio per prendere le decisioni importanti.
Si gestivano le controversie tra le famiglie e si decideva il tipo di scambio con le popolazioni dei due regni vicini.
Non si pagavano pedaggi, tasse e balzelli nè a re nè a signori.
La lingua era simile ed era formata da pochi elementi, sufficienti però per esprimere i concetti complessi e per far fronte alle necessità dell’esistenza quotidiana. I pochi testi scritti, riempiti soprattutto di disegni, schizzi e simboli erano conservati sui muri delle case, sulle rocce vicine ai villaggi oppure su poche pelli lavorate.

Si riusciva a comunicare anche con popolazioni lontane e ciò consentiva di rafforzare i contatti e a migliorare gli scambi dei prodotti.
C’erano anche i lutti, come in tutte le comunità vicine, ma venivano affrontati con coraggio e dignità e con il supporto morale e l’aiuto materiale di tutti i gruppi familiari.
I costumi erano semplici e sobri e non lascivi.
Ci si sposava portando in dote 3 pecore e 1 capra che, per le dimensioni del gregge di proprietà di ogni famiglia, significava che la dote era un semplice regalo.
Non esisteva una scuola come la immaginiamo noi oggi, ma gli anziani tramandavano ai giovani le nozioni fondamentali per la sopravvivenza.
Molto veniva assimilato dai giovani mediante il lavoro manuale; con il ripetuto esercizio anche le attività complesse divenivano semplici: si imparava così come realizzare una falce, un rastrello, come ottenere il pane da un chicco di segale e come quest’ultimo doveva essere coltivato e conservato.
Si imparava a catturare gli animali selvatici, ad addomesticarli e ad accudirli.

Non era una vita facile e semplice, ma era serena.
Molto più a sud di questi territori, c’era un altro regno: quello d’Africa.
Questo sconosciuto territorio era governato da una misteriosa regina che regnava su un affollatissimo paese.

Le necessità di sopravvivenza del suo popolo erano grandi e la spinsero alla conquista di nuovi spazi.
Dalle notizie ricevute dai suoi messaggeri, si riteneva che verso nord esistessero territori sconfinati e fertili da colonizzare.
Ordinò quindi ad una parte delle sue tribù e dei suoi guerrieri di muoversi verso i grandi spazi del nord, verso nuovi terreni fecondi.
Una massa poderosa e potente si mise in movimento da sud verso nord.

Questo spostamento di massa non poteva passare inosservato.

In particolare, ai messaggeri dell’altrettanto misterioso Regno del Nord.
Essi riferirono al loro re, il Re Nordico, di questo spostamento di enormi masse da sud, ed egli si allarmò e decise di intervenire.
Re Nordico reggeva le sorti di numerose popolazioni nomadi (una parte di queste iniziava a divenire stanziale su nuovi territori) ed era obbligato a ricercare continuamente nuovi spazi vitali verso sud, verso terre più soleggiate e ricche di messi e di fauna. Non vedeva di buon occhio la spinta verso nord ordinata dalla regina d’Africa al proprio popolo e temeva che essa si impossessasse, prima di lui, di questi nuovi spazi fertili.
Anche Re Nordico ordinò alle sue popolazioni di effettuare una intensa migrazione verso sud.
Nel giro di poco tempo, le popolazioni più vicine, a questi due grandi regni del sud e del nord, vennero rapidamente sopraffatte e distrutte, mentre continuava il loro avvicinamento reciproco.
Le genti della grande pianura non si accorsero di nulla.
Di tanto in tanto avvertivano rumori sordi e piccoli terremoti che provocavano un lieve sollevamento del terreno.

Questi eventi, già conosciuti in passato, erano considerati normali.
I saggi avevano già informato i più giovani su questi periodici fenomeni ed avevano spiegato quali fossero le misure più efficaci da adottare per fronteggiarli.
Bastava infatti costruire piccole case in legno, distanziarle le une dalle altre e costruirle, possibilmente, su palificazioni infisse nel terreno e collegate tra loro.
L’unica novità era che la frequenza e l’intensità di questi fenomeni erano divenute più accentuate.
Nulla di pericoloso però, e le popolazioni si adattarono ben presto alla nuova situazione; non erano allarmate e continuavano tranquillamente a seguire le proprie occupazioni.

I movimenti da sud e da nord allarmarono invece il Re Tirreno ed il Re Adriatico che, non capendo bene le ragioni di questi poderosi spostamenti, presagivano tempi duri per le proprie popolazioni, per i territori da loro governati e per i loro stessi regni.
Mentre si scambiavano messaggeri per capire meglio la situazione e per tentare un coordinamento delle forze, estremamente difficile da realizzare viste le distanze, iniziarono anch’essi, in maniera indipendente, uno spostamento verso la pianura centrale, da ovest e da est.
Cercavano di posizionare le loro forze nei punti migliori del territorio, vicino a zone rocciose e collinari dove era più facile organizzare una difesa, per evitare di essere attaccati all’improvviso da forze concentriche e di venire compressi in spazi ristretti.
Man mano che le popolazioni e gli eserciti si avvicinavano, i massacri aumentavano e intere popolazioni, intrappolate da queste migrazioni, venivano soppresse.
La sopravvivenza di molte altre popolazioni indigene, che si trovavano sulle direttrici di questi spostamenti di massa, diveniva sempre più difficile e precaria.

Anche le popolazioni della pianura centrale furono, alla fine, coinvolte.
Essendo popolazioni pacifiche, la loro sorte era pressochè segnata.
Non c’erano difese importanti sull’enorme pianura e, a parte qualche grande fiume senza ponti e difficile da guadare, nulla poteva offrire una valida difesa a questa invasione imminente.
Si susseguivano le riunioni di consiglio tra le popolazioni della pianura.
Ma le riunioni divenivano sempre più concitate, man mano che i messaggeri portavano notizie fresche sui vari spostamenti delle masse.

Dopo un fitto scambio di messaggi con i Re Tirreno ed Adriatico, fu presa infine una grave decisione: si decise di inviare una consistente parte della popolazione della pianura, equamente suddivisa tra le varie tribù, verso i territori dei due regni adiacenti, dove esistevano eserciti ed il terreno offriva un sia pur minimo supporto alla difesa.
Era un grave sacrificio perchè molte famiglie e tribù si trovarono separate e perchè, soprattutto, si dovevano lasciare i luoghi natii per altri non familiari, dove le risorse dovevano essere suddivise tra molte popolazioni.
La dolorosa decisione fu comunque presa e solo piccoli gruppi, con molti anziani, rimasero nei villaggi di origine, come estremo baluardo e sentinella.

La catastrofe annunciata alla fine si verificò.

Le avanguardie delle enormi masse del nord e del sud si scontrarono, coinvolgendo sempre di più le popolazioni centrali che, se pur arroccate in poche zone difendibili, non potevano reggere a lungo ad un simile urto.
Parecchie persone di loro trovarono una feroce fine nel tremendo impatto delle masse in rapido avvicinamento.
La situazione stava precipitando, nulla poteva impedire un enorme scontro frontale tra queste masse.

Successe allora qualcosa di poderoso e di inatteso!

Dea Natura, disgustata dalla selvaggia violenza di queste popolazioni in spostamento verso il Centro Italia e dispiaciuta per la imminente tremenda fine delle popolazioni pacifiche delle pianure, intervenne a suo modo.
Contrastò le spinte del nord e del sud, facendo innalzare, dalla pianura, enormi barriere rocciose.
Creò catene montuose trasversali ai due contendenti ed divise il territorio centrale separando la parte ovest da quella est, impedendo passaggi alternativi ai belligeranti.
Accorciò le pianure e le fece diventare impervie valli tra le montagne, solcate da fiumi e torrenti impetuosi.
Questi angusti passaggi non permettevano lo spostamento di grandi masse e quindi divennero più difendibili.
Sollevò enormi zolle di terreno, facendo immergere la parte frontale della massa del sud che, non attendendo questo strano e veloce fenomeno naturale, non fece in tempo a retrocedere e venne rapidamente sommersa.
Anche le masse del nord vennero fermate ed allontanate. Un continuo sollevamento di montagne sul lato nord e sul lato ovest con direzione sud-est, impediva il transito.

Se questa azione di Dea Natura fermò l’olocausto finale, bisogna però dire che la nuova situazione geologica e geografica poneva seri problemi per le popolazioni superstiti del Centro Italia.

Sia a ovest che a est, rimanevano disponibili poche pianure e pochi territori fertili.
Si erano create enormi catene montuose dove era difficile vivere e dove occorreva procedere con cautela per le innumerevoli insidie presenti in quei luoghi.
Occorreva studiare e conoscere il nuovo territorio e scoprirne i varchi più agevoli.

Dea Natura aveva fatto le cose in grande e senza risparmio: ovunque erano erette strutture che impedivano un passaggio facile da una valle all’altra e da un monte all’altro.
Rocce enormi occludevano i passaggi più logici e meno impervi.

Le spinte successive delle masse del sud, in continua lotta con quelle del nord, furono sempre bloccate da queste enormi barriere e le masse frontali più bellicose vennero sempre inghiottite dai lembi di territorio centrale che le ricoprirono.

Passarono così molti anni e le generazioni si succedettero le une alle altre.
Col passare del tempo, si instaurò, nella regione centrale, un equilibrio dinamico tra tutte le popolazioni in movimento e anche Dea Natura si calmò.
Concesse alle popolazioni tirreniche ed adriatiche qualche pezzo di pianura fertile e rese produttive anche molte valli tra le montagne.
Sui monti fece nascere nuove specie di animali e tutto ciò consentì un miglioramento del tenore di vita delle povere popolazioni superstiti.
Con coraggio e costanza, esse ricominciarono la ricostruzione dei villaggi e di nuovi piccoli insediamenti sulle montagne che si moltiplicavano man mano che nuovi sentieri venivano aperti in queste zone.
Ma le barriere innalzate da Dea Natura erano sempre lì presenti ad impedire transiti di masse e a ricordare gli scontri del passato.

Ancora oggi queste antiche barriere sono visibili sui sentieri delle montagne.
Più di altre, una zona ricorda queste antiche vicende all’escursionista di oggi: è la zona di Campo Imperatore nel gruppo montuoso del Gran Sasso.
Questo enorme altopiano ricorda molto bene l’antica pianura del Centro Italia e le vertiginose cime dei monti circostanti riportano alla mente le barricate innalzate di fronte alle masse in movimento.
Molte barriere rocciose sono poste sui sentieri e sui valichi: sono visibili ancor oggi a ricordo dello scopo del loro sollevamento.
Molti toponimi locali di alcune zone di quest’area, tuttora presenti e conosciuti, ricordano all’escursionista le antiche tragedie:
- la Valle dell'Inferno;
- il Campo Pericoli;
- la Conca degli Invalidi;
- la Cresta delle Malecoste;
- la Grotta a Male.

Un caratteristico masso roccioso, situato a circa metà lunghezza su uno tra i sentieri più battuti dagli escursionisti moderni del Gran Sasso: il Sentiero Estivo che collega Campo Imperatore (mt.2100) alla Sella di Monte Aquila (mt.2335), rappresenta il simbolo di queste barriere naturali che si opponevano al transito. La sua collocazione sul sentiero, che sembra proprio voluta e calcolata, e la sua conformazione molto "grinzosa" e "spigolosa", danno anche l’idea che tale baluardo era a difesa di popolazioni pacifiche e che, grazie alla sua dimensione, costituì la premessa alla sopravvivenza di molte delle popolazioni del Centro Italia.

E’ divenuto, nel tempo, un segno di "Buona fortuna".

Ed è così che tutti coloro che transitano su questo sentiero e che raggiungono il "famoso" masso, danno un affettuoso colpetto col palmo della mano sulla nuda roccia, quasi fosse un saluto ed un ringraziamento per l’aiuto antico.
Questo atto è fatto come richiesta di aiuto e di buona fortuna nell’escursione o nell’arrampicata da effettuare in zona e, al ritorno, come ringraziamento sul buon esito dell’avventura.
E’ anche un simbolo di amicizia ed un patto di fiducia con le montagne e con le rocce che ci hanno protetto e che ancora ci proteggeranno da eventi catastrofici.

Se camminerete anche voi sul Sentiero Estivo, da Campo Imperatore alla Sella di Monte Aquila nel cuore del Gran Sasso d’Abruzzo, non dimenticatevi di dare un colpetto (col palmo della mano) al "masso" che incontrerete sul percorso, Vi porterà sicuramente "Buona Fortuna"!!

di Enea Fiorentini

<Libera riflessione, dopo moltissime escursioni al Gran Sasso (Abruzzo)>

8 Agosto 2001

indietro