Il nuovo vestito

...Scosto i mughi con le mani, e loro - dispettosi - m'innaffiano di polvere, polvere di neve; lucente, adorna del primo sole.
Ecco la cresta; si staglia contro il cielo, blu come raramente accade.

Evito di deviare al Telegrafo, e mi immetto sulla mulattiera di cresta, coperta da diversi centimetri di neve.
Sento il fragore del vento che - nell'altro versante - s'infrange sui pendii sommitali; per il momento sono al riparo.
Contorno la Pettorina e arrivo al varco di Forcella Fontanelle, vorrei affacciarmi per vedere il lago, ma dall'intaglio escono folate violente intrise di neve; un pulviscolo che mi acceca, mi fustiga il viso.
Passo oltre e ritorna la calma.
Man mano che avanzo a nord, la neve aumenta.
Mi fermo a indossare le ghette, ed intanto passo lo sguardo sulle cime dolomitiche che, ben delineate, si stagliano all'orizzonte.
Aggiro l'ultimo costolone; è quello caratterizzato da uno spiazzo erboso, dal quale si profila C. Valdritta.
Non manca molto alla cima, ma la quantità di neve - soprattutto quella ammassata dal vento - comincia ad impensierirmi. Quella specie di cengia subito prima della Forcelletta dei Piombi, è semisepolta dalle colate che scivolano dalle rocce; non è per nulla invitante, inclinata com'è verso il canale sottostante.
Ho il vantaggio di conoscere il fondo, so che è piatto e roccioso, relativamente largo.
Abbozzo dei timidi passi, la neve è inconsistente, puro zucchero. La sposto col semplice movimento, e sento che sotto lo strato polveroso c 'è quello più compatto, nel quale sono marcate le mie impronte lasciate pochi giorni prima.

Già, con che differenza però; là il tempo era cupo, nevicava, e sempre sentivo quel fragore causato dal vento. La sensazione di solitudine era però moltiplicata dall'ambiente reso ostile dal maltempo.

Ora invece è sereno schietto, l'aria frizzante, perfino i mughi sono
belli, con le chiome esterne affagottate nei cristalli, le gugliette rocciose che abbelliscono questo tratto sembrano bianche figure in preghiera, la cima è lì davanti.
Passo poco sotto la forcella; il vento, dal lato lacustre, solleva altissimo la neve sulla linea di cresta, facendola ricadere scompostamente in mille cristalli iridescenti.

Arrivo al bivio per la cima; il cartello è un unico blocco cristallino.
Volto il crinale e vengo investito da forti raffiche, rientro al riparo e m'imbacucco di tutto punto, proseguo, solo ora - finalmente - posso guardare all'altro versante.
Il sentiero è intagliato nella roccia, e sale a secche serpentine verso la cima rimanendo esposto al vento fortissimo.
La neve supera il mezzo metro e ne intasa il fondo, ma, verso le rocce, il turbine ha originato una specie d'intercapedine, e lì mi stringo a passare.

L'ambiente ha assunto connotati di grande suggestione; la neve è impiastrata in ogni fessura, ricopre ogni blocco, crea forme gnomiche e linee sinuose, lunghi ghiaccioli pendono dalle rocce.
Avanzo con circospezione ed un po' di timore, sono solo e lontano da valle, anche se ne vedo il fondo.
Ed ecco anche quei maledetti accumuli che ricoprono la cengia poco prima della cima; il passaggio mi sembra arrischiato. E questo vento poi, che si fa ancora più forte; il tumulto polveroso mi avvolge, rende inutile anche il cappuccio.
In quella baraonda riesco ad indossare i ramponcini, con questi mi sento più tranquillo.
Affondo gli scarponi giù nella farina bianca, poggio il fondo più consistente e vado avanti, per poco ancora, perché dopo cento passi sono in vetta.

Felicità, si scioglie l'affanno che avevo in animo, eccomi su questa cima che cento e più volte ho salito, ma che oggi è diversa; dall' ultima volta, e da quella precedente, e da quella prima ancora.
Il nuovo vestito è bellissimo, certamente unico, il migliore finora.
Percorro la crestina sommitale, sulla quale si è accumulato oltre un metro di neve, e vado sul lato nord; il lago si staglia tra la cerchia di montagne, vedo il Brenta, la Presanella, il Caré Alto, crinali a non finire, là in fondo la Marmolada, Cima d'Asta.
Il vento è un ruggito assordante, lo vedo scavare giù nel vallone, sollevare un mulinello e spingerlo, brutalmente, su per i pendii della montagna e fino alla cresta, dove qui s'infrange nel cielo blu cobalto.

La pianura, nel suo sfondo, è però scura, schiacciata da una massa di nubi che avanzano veloci; il tempo sta cambiando e mi affretto al ritorno.
Le folate si fanno irruenti, e i pennacchi nevosi - sulle creste - sono un unico biscione opalescente che ne segna il filo.
Le impronte sono già state cancellate, erose, limate, e domani - penso - lo sarebbero state comunque.

Dentro mi rimarrano le sensazioni.

giorax

23 novembre 2002